Il digitale è un bene o un male? I cambiamenti apportati dall’ingresso di Amazon sul mercato globale, hanno migliorato la vita degli utenti? Se è vero che il Covid ci ha insegnato che le regole del gioco possono essere rimesse in discussione in ogni momento e che niente è eterno, chi potrà mai contrastare l’espansione, indubbia, di Amazon? Queste sono alcune domande che mi sono posta dopo avere guardato, lo scorso lunedì 3 gennaio, il servizio/inchiesta “Amazon piglia tutto” di Report dedicato al gigante dell’eCommerce.
Nel tentativo di rispondere ad alcune domande, proviamo insieme a effettuare delle considerazioni (che sono assolutamente personali). Trovo assolutamente positivo il digitale, nella sua accezione più contestuale. Il digitale ha semplicemente esploso quello che, negli anni ’90, avevano già messo a terra le grandi catene con la loro strategia di massificazione: prodotti (tanti, di ogni genere e posizionamento e di marca) take away (zero assistenza) alla portata di tutti. Con l’aggiunta che lo shopping lo si poteva effettuare comodamente dal divano di casa propria. Una nuova modalità di effettuare i propri acquisti che ha allo stesso tempo ha abbassato i costi vivi come affitti e personale.
L’asticella, per i negozi fisici, si è alzata – e non di poco – per contrastare un nuovo modo di vendere. Esattamente come si evince dal servizio di Report, la logica è quella del pesce grande che mangia il pesce piccolo: chi mangerà alla fine Amazon? Abbiamo visto ipermercati di grossissime dimensioni sgretolarsi sotto l’impatto dell’online. Gli stessi ipermercati che hanno determinato la crisi dei negozi di vicinato. Oggi le insegne, in particolare i cosiddetti brick and mortar, si sono organizzati in ottica omnicanale per offrire una esperienza di acquisto, con egual servizio, sia online sia nei punti vendita. Sarà sufficiente? Beato chi lo sa.
In America, illustra bene il servizio di Report, le location dismesse lasciate dai negozianti che hanno abbassato la saracinesca sono divenuti oggi centri di smistamento Amazon da cui partono le consegne porta a porta per i paesi limitrofi. La volontà del pure player di aprire punti vendita fisici viene descritta nell’inchiesta giornalistica del programma di Rai 3 come l’ultimo miglio di Amazon al monopolio, con la possibile conseguenza per l’utenza finale di essere costretta a scegliere quello che li viene propinato dall’insegna leader.
Detto questo (se fosse vero), rispondere alla successiva domanda, ovvero se l’ingresso di Amazon abbia migliorato o meno la vita degli utenti, pare quasi scontata.
Però una cosa andrebbe sottolineata: se un modello di business decolla è perché piace e trova consenso di pubblico. Se Amazon è arrivata dove è arrivata è perché evidentemente ha risposto a una esigenza (inespressa sino a quel momento) dell’utenza. La maniacale dedizione del pure player verso la clientela (“il cliente prima di tutto”) ha evidentemente portato frutti. Il fatto è che nessuno, oggi, ha saputo ancora offrire una esperienza di egual misura. E allora non esiste concorrenza. Poi si può portare la discussione sul tema tasse, contratti di lavoro, regole concorrenziali. Questi sono argomenti (sacrosanti) ma che esulano dal tema principale: un modello di business che ancora nessuno è riuscito a replicare.
A proposito di regole: lo scorso 9 dicembre, si apprende della multa da oltre un miliardo di euro con cui l’Antitrust ha sanzionato Amazon per abuso della posizione dominante sul mercato per favorire il proprio servizio logistica. Amazon ha risposto facendo ricorso.